Per parlare dell’opera artistica di Rino D’Ambros è necessario tenere a mente due punti focali. Il primo sono i tempi, il secondo le tecniche. Analizzati questi aspetti, si comprenderà come i quadri dell’artista feltrino possono far parlare di lui come un maestro del novecento. Un maestro dimenticato, senza dubbio, ma che deve essere riscoperto dopo quasi 40 anni di oblio.
SPAZIALISMO
L’opera di D’Ambros rientra a pieno regime nel filone dello spazialismo, che larga parte del secolo scorso ha permeato. La corrente, che vede il suo punto di riferimento riconosciuto in Lucio Fontana, che ideò il movimento con il suo Manifesto Blanco, si caratterizza per una scelta cosmica: raccontare l’universo per descrivere il particolare: l’uomo, il suo tempo, la vita di tutti i giorni. Il cosmo diventa uno specchio deformato e deformante, ma allo stesso tempo intimamente fedele, per descrivere l’oggi. Ma pure raccontare l’universo è un modo per cercare realtà altre, esterne, ulteriori: cercare mondi nuovi in cui poter narrare il proprio interiore con le parole degli artisti. Chi sceglie le civiltà antiche, chi le isole sperdute, chi i propri avi e chi, gli spazialisti il cosmo. Nel caso di Fontana, poi, l’arte doveva andare necessariamente al di là della tela: ecco i tagli, la tridimensionalità.
I TEMPI
Se il movimento spazialista muove i suoi passi nei primissimi anni cinquanta, in Europa, in realtà assurge a punto di riferimento in ambito artistico e culturale solo 10-15 anni più tardi, grazie anche alle opere di Deluigi, Crippa, Viani o Capogrossi.
Sono questi gli anni di più intensa produzione pittorica per Rino D’Ambros. Vissuto fra Feltre e Milano prima, e fra il veneziano e Roma poi, D’Ambros pare esterno al nucleo fondante del movimento. Ma le idee e i punti chiave sono i medesimi: la scelta geometrica, la necessità di andare al di là della tela, il bisogno di smuovere la società partendo partendo dall’arte rivoluzionaria.
E’ per questo che parlare di D’Ambros è obbligatorio valutare i tempi: sé certo l’artista bellunese ha avuto dei contatti con le idee spazialiste, è altrettanto vero che siamo di fronte ad un processo di poligenesi. Cioè il dettato del Manifesto Blanco è riproposto, rielaborato, rivissuto e in certa maniera approfondito a Feltre e a Cavarzere prima e, ad Ariccia poi.
LE TECNICHE
Un altro passaggio determinante che rende unico l’elaborato di D’Ambros è la peculiarità tecnica. No, l’artista veneto non taglia la tela, ma raggiunge la perfezione della tridimensionalità con gli strumenti che gli suggerisce la sua bottega: da un lato i sassi del Piave, dall’altro quell’idea geniale del fosforo. L’universo è dipinto e messo su tela grazie a quanto D’Ambros aveva attorno; la sua luce metafisica è realizzata prima con la polvere bianca, poi con il fosforo. E’ impossibe non individuare in queste scelte un legame da una parte con l’arte povera, dall’altro con quella materica, ad esempio di Burri.
I TEMPI E LE OPERE
E’ per questo che le opere di D’Ambros hanno la grandissima dote di stupire un osservatore allenato e conscio. Vedere queste opere, recuperate dopo decenni di dimenticanza, colpisce l’occhio dell’amante dell’arte, del conoscitore dei movimenti del Novecento.
Ma non solo. Queste opere colpiscono qualunque osservatore per la potenza magnetica con cui attirano lo sguardo.
La geometria dell’universo, immaginata da D’Ambros in poche decine di centimetri quadrati, nasconde un desiderio irrefrenabile di dare una dimensione riconoscibile, un ordine morale, dei riferimenti alla realtà che lo circondava.
Un dolore sordo, profondo, che cerca pace e serenità nello spazio.
Che non è però l’universo del caos, ma quello della ricerca costante di una geometria definita e comprensibile. Se il cosmo è a portata di mano (va ricordato che l’uomo sbarcò sulla luna nel 1969, e che quegli erano gli anni in cui il tema dell’uomo nella galassia era non solo di cronaca, ma anche di attualità letteraria), nel senso intellettivo del termine, non sarà possibile ridurre la nostra vita a strade per noi percorribili?
MAESTRI
Pertanto, D’Ambros va considerato a tutti gli effetti un maestro del Novecento. Ha scelto di dipingere lo spazio usando modalità assolutamente innovative, lo ha fatto con un’idea peculiare e virtuosa, ha realizzato porzioni di galassia in maniera unica. Lontano dalla fama, lontano dai riflettori, ma con una determinazione che, anche in vita, gli ha consentito di maturare dei sucessi che l’hanno ripagato, e con la partecipazione alla XXXVa Biennale di Venezia (l’asteroide d’oro, scultura in vetro di murano) consacrato nel Pantheon.
E’ in programma un ciclo di mostre – dalla retrospettiva di Noventa Vicentina – che darà a D’Ambros, almeno in parte, la possibilità di parlare al suo pubblico. Come fa un maestro, dall’alto di una cattedra. La sua è un cavalletto.
LA MODERNITA’ E IL VALORE
Le tele di Rino D’Ambros sono per questo di una straordinaria modernità. Opere del suo tempo, per le tematiche affrontate, ma che sanno parlare all’uomo di oggi in maniera diretta, senza fraintendimenti. I cosmi dell’artista di Feltre raccontano di un uomo che si pone difronte al tutto, e che cerca di reinterpretarlo dando una connotazione intellegibile all’universo. Perché l’universo non è solo qualcosa che ci circonda e che ci permea, qualcosa che sta attorno a noi, ma anche la sostanza di cui siamo fatti.
Pertanto, il valore di queste opere è notevole. Dal punto di vista storico, da quello artistico e da quello culturale in genere. D’Ambros ha descritto un modo di vedere il mondo in maniera unica, con gli strumenti degli anni sessanta e settanta, inventandosi un’arte e dei linguaggi che non c’erano.
Ma i risultati del suo lavoro sono opere che continuano a parlarci. Anche oggi.
Autore: Diego Neri