(Roma 1 Novembre 1973)
Rino D’Ambros
Un punto riempie lo spazio.
Il solo pensare allo spazio è non voler credere al nulla.
Un colle e una siepe che ne chiudeva lo sguardo ispiravano a Leopardi la più bella sintesi fra l’esistenza oggettiva e la creazione soggettiva dell’infinito, finzione del pensiero: tutti i quadri di rino D’Ambros sono paesaggi spaziali che, per quanto rispettino simmetrie e prospettive tradizionali facenti di ciascuno un’opera definita, tuttavia non sono chiusi; suggeriscono lo sconfinamento e l’al di là.
Rino D’Ambros è moderno: ha assimilato esperienze altrui, è parente conscio o inconscio dell’arte ottica (“op”) degli americani, degli italiani Fontana e Castellani; e si ingegna con sabbie, filamenti e sfere in trasfigurazioni che si chiamano bassorilievi anziché pitture; affronta i difficili prepotenti acrilici, si è impadronito dei colori fluorescenti che sorprendono lo spettatore nelle stanze buie. Lo si può chiamare astratto; perché i suoi modelli sono le geometrie delle nebulose e paesaggi e traiettorie d’oltre atmosfera. Ma ecco che si plasma nelle sue strane materie un volto umano, quasi una tentazione, quasi l’impronta su una veronica: a ribadire che lo spazio c’è solo quando c’è l’uomo.
Come durante il conflitto e la resistenza D’Ambros è stato comandante partigiano sul Grappa, così negli ultimi anni ha seguito i viaggi extraterrestri di astronauti e cosmonauti; è uno di quegli artisti che aderiscono all’animo, ai problemi, alle illusioni, agli slanci e ai drammi del suo tempo.
Oggi è pittore di scienza e fantascienza; ricorda i classici nella sua attitudine a semplificare, a eliminare il superfluo; è romantico per il bisogno che lo accomuna a scienziati, tecnici ed esploratori, continuamente di superarsi.