(7 Ottobre 1967)
Le tele esposte nelle sale del Circolo Universitario Feltrino, raccolgono il frutto di lunghe esperienze, di una ostinata e ansiosa ricerca di interpretare e rappresentare una realtà che sfugge all’occhio umano: l’infinito cosmico.
E francamente rende l’infinito, l’infinito di D’Ambros.
Quel suo infinito che si riempie di elissi, di ciottoli e sassolini disseminati su disegni onirici – per usare un termine ormai consacrato – di giochi cosmici, dai colori freddi e roventi ad un tempo, ha una forma, una luminosità, un ritmo, un rilievo spaziale tutto caratteristico.
Poetica intuizione di mondi siderali, quasi il nascere di nuovi astri nello spazio; in uno spazio che si accende stranamente, si gonfia, addirittura esplode in una visione che talora assume gli accenti di una misteriosa apocalisse.
Una pittura però che rimane entro i limiti di una tesa e lucida struttura razionale, che controlla sempre le tumultuose e segrete spinte dell’ispirazione.
Quando D’Ambros colloca nello spazio il suo gioco di ellissi, quel movimento rotatorio dà allo spettatore il sapore del cosmo, gliene offre un’equivalenza pittorica che è insieme giusta e fantastica.
Raggiunge l’artista, a nostro avviso, l’armonia tra pensiero, espressività e forma: cioè la poesia. Comunica una visione attraverso colori, sassi e materia cementizia, scoperti e fissati da lui, entro una sua architettura compositiva, strutturata di luci e notti, di speranze e terrori.
Interessanti anche gli altri soggetti: “per un attimo di pace” (la quiete spirituale resa quasi geometrica), “basta!” (l’inquietudine ormai intollerabile), “partita di calcio nello spazio” (miscuglio coloristico di tifo, urla, liti).
Un artista, il D’Ambros, che è sollecitato dal poetico fascino del cosmo, dalla misteriosa nostalgia del mistero, dalla profonda inquietudine delle creature.
Autore: Don Giulio Perotto